Traversata dell’Argentina a cavallo - riassunto in italiano Album fotografico clicca qui
Dopo numerose richieste ecco qui un riassunto in italiano del viaggio a cavallo dalle Ande all’Oceano Atlantico.
Da Indio Rico al Colegio Argentino Danes 21-25 febbraio 2009
La ferita per nulla grave di Pegasus, ma che mi impediva di mettergli la sella, nel giro di pochi giorni si è chiusa perfettamente senza mostrare segni di infezione. Nel frattempo io mi trovavo per lo piú negli studi della radio locale, con libero accesso a internet. Non servono molti giorni per diventare una faccia conosciuta in un paese con pochi abitanti, dove persino la chiesa è chiusa. Peró una volta mostrato l’interesse a visitare la chiesa subito si è presentata una piacevolissima credente a farmi da guida. Una storia molto interessante, quella della chiesa di Indio Rico… Un’altra cosa che sono riuscito a fare nei giorni di paicevole permanenza nel paese è una scappatina a Tres Arroyos a soli 70 km di distanza per visitare Gonzalo e la sua supermamma Mirta, che in questo periodo soffre nell’attesa di essere operata di calcoli ai reni. Una volta ripreso il viaggio dovevamo attraversare il piccolo paese, cosa che considerata la distanza ha voluto il suo tempo visto che un sacco di gente voleva salutare e fotografare i cavalli ed il cavaliere. Peró per una volta tanto il tempo era piacevole e non troppo caldo, inoltre non avevamo molta strada da fare. La destinazione era una estancia dall’altro lato di un fiume salato, il Rio Quequen Salado, che scorre in una breccia nel terreno creando una scenografia naturale di particolare suggestione. Molto bello davvero. Nonostante la salinitá dell’acqua (non molto alta in veritá) i cavalli sembravano godere particolarmente delle proprietá dissetanti della medesima. Alla estancia ero atteso da Mario Jensen, che nonostante il cognome tipico danese ha un aspetto tutto brasiliano (come la madre, il padre invece era un vero ”vichingo”).
La mattina dopo il buon Mario doveva andare via abbastanza presto, per cui rimasi solo con i miei cavalli senza possibilitá di bere un buon caffé. In compenso sentivo avvicinarsi la fine del viaggio, il che produce endorfina piú che il caffé. Anche per i cavalli il viaggio a seguire sarebbe stato abbastanza semplice, quasi tutto con fondo di terra e bachina con erba, il meglio per Tobi che non porta ferri sugli zoccoli posteriori. Inoltre sia Pegasus che Tobi sembravano avessero una voglia come mai di andare al trotto, quindi era praticamente un piacere fare i primi 20 km mattutini da La Hidalguia a El Socorro, dove a ricevere erano i ricchi proprietari del possedimento, cosa piú unica che rara. Durante la tratta la ferita di Pegasus si era riaperta, quindi basta sella per lui, almeno per alcuni giorni, e dove ho messo il sapone bianco? Mentre i cavalli riposavano a El Socorro il mio vecchio amico Andres, che conobbi un anno fa e con cui ho mantenuto uno sporadico ma sicuro contatto, mi era venuto incontro in macchina per portarmi a casa sua, dove la madre aveva preparato un buonissimo pranzo a base di fettuccine fatte in casa. Tutto questo. Dopo pranzo la strada da fare era abbastanza corta, ma Tobi giá stanco della trottata mattutina. Purtroppo per lui non c’erano alternative, perché mentre Andres portava il carico in macchina fino a Cascallares, Tobi doveva caricarsi me. Il problema è che ora il cammino è di sassi di dimensioni come castagne, il che fa male a un cavallo senza ferri. Ed io peso piú dei 15 chili che Tobi abitualmente si porta appresso. Poveretto lui, ma povero anche me, che il trotto di Tobi è piú pesante e ”ondoso” di quello di Pegasus, a cui sono abituato. E come se non bastasse Tobi quando è stanco ha bisogno di essere costantemente ”motivato”, un continuo lavoro di gambe e di redini, il che mi spacca la schiena. Una volta arrivati a Cascallares Andres aveva provveduto per un buon posto dove i cavalli potevano farmarsi a riposare un paio di giorni. Io sarei andato con un taxi in un hotel a Tres Arroyos a solo 20 chilometri da li, ogni tanto ho bisogno di un letto vero… Per mia sfacciata sfortuna, nello stesso momento in cui chiedevo ad Andres il numero di telefono di un taxi appariva come dal nulla un furgoncino bianco, da cui scendevano Gonzalo e suo fratello Mauro. Il caso ha voluto che per la primissima volta Gonzalo era andato con suo fratello all’estancia dove lavora quest’ultimo, e tornando verso casa erano passati per puro caso davanti al recinto dove stavo sistemando Pegasus e Tobi. Gonzalo ha riconosciuto i cavalli, non me, dalle foto che aveva visto sul blog…
Il giorno dopo era di riposo, ma l’ho comunque passato in compagnia dei cavalli, anche per provvedere ad un po’ di alimento ed ad acqu fresca. La ferita di Pegasus si è nuovamente chiusa, grazie al sapone, ma è certo che non posso mettergli la sella per almeno un paio di giorni. Fortunatamente manca poco all’arrivo, il Colegio Argentino Danes, a soli 25 km di distanza. La strada da fare era tutta sterrata, con pietre a tratti, e ancora una volta Tobi doveva sopportare il cavaliere anziché il carico. Va bene, non dice nulla, almeno non le prime 2-3 ore, poi perde la voglia di lavorare il poveretto. Comunque fosse era l’ultimo giorno per Tobi, e all’arrivo c’erano ad aspettarmi alcuni dei docenti, la direttrice (ed il marito Andres) oltre naturalmente Birthe. Gran festa e piú di tutto sollievo per avere terminato felicemente questo fantastico viaggio.
O quasi, perché il giorno dopo i cavalli dovevano andare alla fattoria di Pablo, il loro ”garage” per i prossimi giorni, dove possono riposare e mangiare, rimettersi dal viaggio insomma. Poca la strada da fare, solo 10 km, quindi prima di andare c’era tempo per far fare un piccolo giro su Tobi a tutti i presenti (gli allievi arrivano il 2 marzo, quindi erano pochini). Io, trionfante, su Pegasus. E sorpresa piacevolissima: Pablo mi era venuto incontro sul cavallo che io avevo cavalcato l’anno scorso, ”Sin Nombre”. Anche se solo per gli ultimi 4 chilomentri finalmente avevo un compañero!
Da Riglos a Indio Rico 23 gennaio-20 febbraio 2009
Dopo un relativo lungo soggiorno a Riglos lontano dai cavalli (che nel frattempo erano rimasti all’estancia La Victoria) attendendo che il tempo tornasse ad essere sopportabile, finalmente ho ripreso il viaggio a cavallo, sempre con il dubbio che Tobi avesse problemi motrici. Per prima mi sembrava che Tobi si stancasse facilmente, ma anche dopo diversi giorni di riposo pareva zoppicasse. Comunque fosse, il viaggio doveva riprendere, non potevo non aprofittare del tempo quasi fresco – o perlomeno nuvoloso. La prima tappa terminava nel piccolissimo paese di Anchorena, l’ultimo bastione della provincia de La Pampa. E come tale provvisto di una stazione di polizia ”di frontiera”. Un appoggio sicuro, la polizia argentina, nonostante i ripetuti avvisi di precauzioni, di corruzione e scarsa abilitá. In effetti non ho mai avuto problemi con i poliziotti argentini, al contrario. Come per esempio ad Anchorena, dove i due poliziotti di turno mi hanno offerto ospitalitá molto al di lá del necessario. Come sempre l’incontro è stato accompagnato dall’immancabile mate, e dopo un breve soggiorno nel paese, dove a farmi da guida sono stati 5 bambini di 8-12 anni, sono ripartito con direzione est arricchito di uno splendido ricordo e di un regalo unico: uno scudetto (di quelli che si cuciono sull’uniforme) della Polizia de La Pampa.
Prima di riprendere il viaggio mi sono accorto che Tobi adesso zoppicava molto piú di prima. Per fortuna la tratta fino a Villa Maza non era lunga ed il cammino semplice. Una volta nelle vicinanze di Maza ho chiamato al telefono un contatto fornitomi dai bravi ragazzi dell’estancia La Victoria, un tal Jorge, che sicuramente mi avrebbe fornito ospitalitá per i cavalli. L’ospitalitá e la gentilezza mostratami da Jorge è qualcosa di veramente speciale. Mi porto appresso un ricordo molto affettuoso di José, e non solo. Sprovvisto come sono dell’equipaggiamento obbligato di un gaucho, José mi ha regalato un vero coltello da gaucho. A Villa Maza ho trovato un veterinario (non senza difficoltá), che dopo avere fatto un attento controllo a Tobi non trovava nulla di preoccupante. Peró un consiglio, togliergli i ferri. Cosí fatto, ma non senza problemi. Gli faceva evidentemente male, poveretto. Nella speranza che questa potesse essere la soluzione ai problemi motrici di Tobi siamo rimasti un giorno in piú a Maza, giusto per lasciare che Tobi si ”accomodasse”. L’ultima sera a Maza Jorge ha organizzato un asado accompagnato dal piacevolissimo canto del genero Federico. Ascoltalo qua: http://www.youtube.com/watch?v=RGU7l1T7MTA (è un video ma non si vede nulla, era buio – ascolta a tutto volume invece, ne vale la pena!). Ripartendo a cavallo, Jorge mi lanciava un salvagente sotto forma di un servizio di recupero se i problemi con Tobi fossero continuati. Fortunatamente ora Tobi andava senza problemi e con rinnovata forza. Avanti tutta!
Tornato il caldo insopportabile é tornata la fortuna insperata di chi segue gli audaci (in questo caso gli audaci sono i cavalli che seguono un mezzo matto come me). I sentieri di terra in questa zona sono coperti di sabbia, dovuto alla forte erosione causata dal vento sempre presente. Il primo stop dopo Maza sarebbe stato nelle vicinanze della stazione abbandonata di Yutuyaco, dove tutt’ora vivono 4 famiglie – una di queste mi avrebbe sicuramente dato ospitalitá per i cavalli per la notte. Prima di raggiungere la stazione mi sono peró dovuto fermare alla prima occasione d’ombra, che il caldo era diventato nuovamente insopportabile. Dopo un paio d’ore di sosta sono passati due gaochos a cavallo che dopo una breve conversazione mi hanno invitato a passare la notte al loro puesto non lontano da Yutuyaco. Una cosa ho imparato durante questo viaggio, ed è andare seul sicuro quando si puó. Quindi ho accettato con piacere, anche spinto dalla fame (quando fa cosí caldo non posso portarmi nulla da mangiare e spesso salto il pranzo). Una volta giunto al puesto la famiglia mi ha accolto con grande ospitalitá, sigillata con un mate al tramonto ed una cena a base di asado all’una di notte. Non descrivo qui la fame che avevo quando finalmente ci siamo messi a mangiare…
Dopo un’ottima dormita nella mia tenda, per una volta tanto mi sono alzato poco dopo l’alba. Come al solito i gauchos di turno erano al lavoro giá da alcune ore, e mi avevano portato i cavalli a portata di mano. A me non restava che prepararmi l’obbligatorio caffé mattutino e sellare i cavalli. Di fronte avevo nuovamente un giorno di caldo implacabile, ma non potendo cambiare la situazione metereologica non potevo fare altro che partire il piú presto possibile. Dopo solo due ore di cavalcata non ce la facevo piú dal caldo e dal sole implacabile, e quando finalmente si vedeva un poco di ombra all’orizzonte c’era solo una cosa da fare, affrettarsi a raggiungerla. A pochi chilometri dagli alberi vedevo che un auto si era fermata con lo stesso proposito, ma ero piú che convinto che mi avrebbero fatto posto una volta visto lo stato di disidratazione in cui mi trovavo. In effetti… avvicinandomi all’ombra si vedeva sempre piú nitidamente il profilo facilmente riconoscibile di Jorge, che conosciendo bene il cammino sapeva che questa unica ombra era un passaggio obbligato, e quindi mi stava aspettando con mate e dolci per colazione, acqua fresca e empanadas per pranzo. Il mio salvatore!
Senza il rifugio dell’ombra questo giorno sarei sicuramente passato alla storia come il piú stupido italiano a cavallo in Argentina. Con il passare delle ore il caldo non diminuiva, tutt’altro, ma alle 5 del pomeriggio non avevo alternativa, dovevo proseguire e trovare un posto dove i cavalli potessero bere acqua. Mentre mi preparavo a sellare i cavalli passava una 4x4 che, come tutti i veicoli, si fermó per chiedermi cosa stessi facendo in questo posto lontano da tutto e da tutti. Il conducente dell’auto si riveló essere Mauricio, una persona con un passato recente strettamente legato ad un’avventura a cavallo, non sua ma di suo padre. Dopo alcuni anni di disoccupazione del figlio, il padre andó a cavallo fino ad una delle madonne argentine che fanno i miracoli, una cavalcata di oltre 100 chilometri, per pregare che il figlio potesse trovare un lavoro degno. Due giorni dopo a Mauricio offrirono il lavoro attuale, di incaricato in seconda della estancia piú grande della zona, un lavoro da sogno per lui. Tutto questo Mauricio me lo stava raccontando con le lacrime agli occhi ringraziando continuatamente la madonna che lo aiutó. E siccome io stavo facendo una lunga cavalcata, indipendentemente dai miei motivi, sentiva come un obbligo ed un modo per ringraziare la madonna offrirmi tutta l’ospitalitá di cui avrei avuto bisogno. A solo mezz’ora di distanza avrei trovato dove dare da bere e da mangiare ai cavalli, ed io ero piú che benvenuto a fermarmi tutto il tempo che desideravo. Lui sarebbe andato al paese vicino, Carhué a 35 km di distanza, con un dipendente che aveva bisogno di attenzioni mediche, al che gli chiesi se potevo andare con loro e fermarmi in un albergo. I cavalli sarei tornato a prenderli il giorno dopo.
La sera a Carhué, mentre stavo cenando al ristorante dell’albergo si avvicinarono 2 persone che per primo mi sembravano due ispettori di polizia. Sentivo che chiedevano al personale dell’albergo di un italiano con 2 cavalli, e una volta giunti al mio tavolo si presentarono come Lacho e Oscar del centro tradizionalista della cittá. Avevano saputo dal buon Mauricio della mia venuta, e volevano invitarmi a visitare il centro tradizionalista il giorno dopo. E se avevo bisogno di qualunque cosa non avrei dovuto fare altro che chiedere ed avrebbero provveduto. Ebbene si, un posto nelle immediate vicinanze del paese dove i cavalli potevano stare una notte o due, con accesso ad acqua e possibilmete erba da mangiare. Detto fatto, ma non solo. La sera successiva ero benvenuto a partecipare ad un asado con i membri del centro tradizionalista. Ma non finiva qui. Il mattino dopo dovevo tornare a prendere i cavalli, ed avevo pensato di andarci in taxi. Ma Lacho (veterinario di professione) non voleva sentire parlare di taxi, e dopo avere insistito (non molto per la veritá) ho accettato che mi accompagnasse. Ci saremmo rivisti la sera al centro tradizionalista. Nei miei tre giorni a Carhué ho passato parecchie piacevolissime ore in compagnia di diverse persone legate al centro tradizionalista, non ultimo Lacho con cui ho instituito un forte legame di amicizia. Mi ha fatto un po’ da zio veramente, il che non mi dispiace affatto.
Come sempre arriva il momento di ripartire, questa volta seguendo una strada asfaltata, per fortuna quasi senza traffico. Le strade argentine sono molto larghe, spesso 100 metri, quindi con oltre 40 metri di banchina in ambo i lati dell’asfalto. Per cui non ci sono problemi a cavalcare, a parte che adesso cominciava nuovamente un fondo di pietra e terra dura, al che i ferri si rivelano essere nuovamente necessari. Prima di tutto dovevo arrivare alla ”chacra” (un piccolo puesto con poca terra) di Omar, il cognato di Oscar, un uomo molto semplice ma con un cuore ed un senso di ospitalitá come pochi. Omar vive degli animali che accudisce, cresce e macella, fa tutto lui. Qui ci sono maiali, pecore, anatre, chi piú ne ha piú ne metta. Omar ha di tutto, tutto tranne cavalli. E i salami che fa Omar sono i migliori del mondo – lo dice chi considera il salame una religione piú che un cibo. In questi giorni mi scadeva il visto di 3 mesi di soggiorno in Argentina, e per rinnovarlo dovevo fare richiesta all’ufficio immigrazioni piú vicino – Bahia Blanca a quasi 200 km. Per mia fortuna Lacho doveva comunque andarci, il che mi semplicava la trasferta. La burocrazia argentina richiede uno studio che poche persone al mondo possono comprendere, ma nonostante tutto l’estensione del visto da turista non è stato cosí complicato come temuto. L’unica cosa che mi dispiace è avere chiesto, una volta rinnovato il visto, quale fosse la pena per non rinnovare il visto: 50 pesos (11 euro), il rinnovo mi era costato 100 pesos ed una fila di un’ora e un quarto per pagarli dall’altra parte della cittá. Viva l’Argentina!!!
Ripartendo dalla chacra di Omar nelle vicinanze di Espartillar avevo promesso di visitare un amico di Lacho, il che mi avrebbe prolungato il percorso non di poco. Ma meglio questo che viaggiare alla cieca senza sapere dove fermarmi per la notte. La cosa piú importante ora che i cavalli sono segnati da mille chilometri di strada, è far si che per lo meno di notte possano bere, mangiare e riposare come vogliono. La destinazione era quindi l’estancia La Cristina di Guillermo, discendente di tedeschi immigrati all’inizio del 1900. E ancora una volta mi sono trovato in un posto dove l’ospitalitá è sottintesa, sigillata da un asado serale particolarmente squisito. Nel tardo pomeriggio avevo aprofittato dell’occasione di lavorare come gaucho aiutando Guillermo a raccogliere una mandria di 200 vitelli e successivamente dividerli in tre gruppi ben definiti – un lavoro non da poco, la sera ero stanchissimo.
Da La Cristina la destinazione era nuovamente un paese con il nome di un colonnello dei tempi antichi, Suarez, e ancora una volta seguendo una strada asfaltata dalla banchina molto larga. Per fortuna il viaggio (molto lungo, oltre 40 km di strada sotto un sole se non implacabile fortissimo) si è svolto senza intoppi, e a pochi km dalla destinazione ho chiamato ad un numero di telefono per chiedere dove dirigermi con i cavalli. Erano Guillermo e Lacho che mi avevano provvisto di un contatto a Pringles che mi avrebbe procurato un posto per i cavalli. Quello che non sapevo è che questo contatto aveva preparato una sorpresa, un giornalista del quotidiano locale con fotografo e una dozzina di persone pronte ad attendermi all’entrata del paese. Quindi viaggio lungo coronato da una intervista a cavallo ed un ingresso con applausi – meglio di cosí non si puó… o forse si. La sera ero naturalmente invitato ad un asado in compagnia dei giocatori di polo del club locale. Splendido! Un paio di giorni di riposo fanno miracoli, vale per cavalli e cavalieri. Nel frattempo a Suarez ho avuto la fortuna di fare conoscienza con Claudio, un arbitro di polo, che mi avrebbe fornito diversi contatti per i giorni a cavallo a seguire. Almeno cosí sembrava…
Ripartito da Suarez in direzione Pringles a 90 km di distanza la prima di tre tappe era la estancia El Recreo, dove secondo le indicazioni di Claudio ero atteso. Cosí non era, ma per mia fortuna la persona incaricata al funzionamento dell’estancia, Zacharias di 70 anni, possiede un gene dell’ospitalitá come pochi. La casa principale di questa estancia è disabitata anche se in perfetto stato. La proprietaria, la señora Clara di 70 anni, é da moltissimo tempo che non mette piede nella casa, dove apparentemente deve essere successo una disgrazia. Clara ogni tanto passa a vistare l’estancia, ma si limita a frequentare la casa dell’incaricato, o meglio la cucina, dove condivide un mate e parla del da fare. Comunque sia Zacharias mi ha fatto fare un visita ”turistica” guidata della casa, che pare un museo. Una donna viene un paio di volte al mese a fare le pulizie in questa casa ”fantasma” e Zacharias si occupa tra l’altro di aprire e chiudere le finestre tutti i giorni. Quindi la casa è in perfetto stato, e Zacharias aveva insistito perché la usassi, sia per dormire in una delle molte camere, che il bagno. Ovviamente tutta questa disponibilitá, senza parlare con la proprietaria, mi sembrava eccessiva, per cui optai per la tenda ed il cesso (buco in terra) nel giardino. La cena invece la accettai di cuore, e dopo avere passato la giornata a cavallo senza mangiare, la pasta cucinata da Zacharias era come una benedizione.
La seconda tappa prevedeva una pausa a mezzogiorno nelle vicinanze di un incrocio. Qui, sempre secondo le indicazioni di Claudio, avrei trovato un ottimo ristorante dove mangiare, una stazione di polizia dove parcheggiare i cavalli ed un benzinaio con annesso negozio per comprare quello che mi serviva. Ebbene il ristorante era chiuso, la stazione di servizio abbandonata e la polizia non c’era. Il buon Claudio… Per mia fortuna una donna che vive dietro al ristorante stava appendendo i vestiti ad asciugare, al che le chiesi se sapeva dove potevo dare acqua da bere ai cavalli e se c’era dove comprare qualcosa da mangiare per me. Purtroppo niente acqua per i cavalli, ma se mi accontentavo di un paio di sandwich me li avrebbe forniti lei. Si, grazie! Al momento di addentare il primo sandwich appare immprovisamente Zacharias con il suo furgoncino. Era la buona señora Clara che l’aveva mandato per cercarmi. Quando Clara ha saputo che c’era un ospite alla estancia ha sgridato Zacharias per non avermi ospitato nella casa principale. Il poveretto aveva spiegato a Clara che lui aveva insistito perché usassi l’abitazione, ma non bastava, Clara voleva porgere personalmente le sue scuse per non avermi accolto lei. Quindi l’aveva mandato alla mia ricerca per chiedermi il numero di telefono. Nell’addentare il secondo sandwich appariva un uomo, il marito della signora che mi aveva preparato i sandwich, chiedendomi se avevo bisogno di qualcosa. Ebbene, se poteva provvedere per l’acqua per i cavalli mi avrebbe fatto un grande piacere. Detto fatto, in due minuti i cavalli avevano accesso ad acqua fresca. Non solo, era entrato in casa ed uscito con due bottiglie di bibite fresche per me. Tornato in casa era uscito di nuovo con un piatto pieno di prosciutto crudo, formaggio e pane, che per non offendere ho mangiato di gusto in aggiunta ai (quasi) 2 sandwich che giá mi avevo sbaffato. Dopo un pranzo cosí si dorme molto bene all’ombra degli alberi del giardino.
Riprendendo la strada, secondo le indicazioni di Claudio, a solo 6 chilometri dall’incrocio con il ristorante ecc. avrei incontrato l’estancia La Lola, dove ero atteso per un asado serale. Ebbene niente La Lola i prossimi 15 chilometri, al che cominciavo a dubitare seriamente delle capacitá di Claudio di procurarmi contatti utili. Al calar del sole non c’erano alternative, dovevo trovare un posto per la notte. Fortunatamente entrando in un viale alberato che portava ad una casa di campagna ho incontrato l’incaricato di una estancia vicina, Los Aromos, dove sarei stato piú che benvenuto a passare la notte in una delle abitazioni dei lavoratori. Una volta giunto alla estancia i ragazzi che lavorano lí mi stavano aspettando (erano stati avvisati via radio), ed era tutto pronto per me – prima di tutto una bella doccia, grazie! Per cena un antipasto di viscacha (un roditore autoctono poco piú grande di un gatto, la cui carne ricorda molto il coniglio) ed un piatto pricipale di carne ovina impanata. Molto molto buono tutto! La gente che lavora in questa estancia è tutta con ascendenti tedeschi, in particolare di una zona del Volga con minoranza tedesca. Sono tutti originari della terza colonia a sud di Suarez, una quarantina di chilometri piú a nord. L’accoglienza molto simpatica e del tutto disinteressata è stata sottilineata dal loro insistere che mi fermassi un giorno in piú, che volevano sentire di piú del mio viaggio e dell’Europa, che nessuno di loro ha mai visitato. Invece per mio grande dispiacere sono ripartito il giorno dopo senza riuscire a salutare nessuno, visto che erano giá tutti andati a lavorare quando io mi sono alzato al sorgere del sole. Un giorno torno a trovarli, sicuramente!
L’ultima tappa prima di raggiungere il paese di Pringles (un altro colonnello) avrei in teoria dovuto percorrerla lungo la strada asfaltata. Ma gli ultimi molti chilometri, a causa dell’emergenza siccitá, la larghissima banchina è occupata da mandrie di vacche e vitelli che nei campi adiacenti non hanno di che mangiare. Quindi seguendo le indicazioni dei ragazzi de Los Aromos ho seguito un sentiero che mi ha portato alla vecchia strada lungo la ferrovia, da anni abbandonata. Secondo le indicazioni di Claudio a Pringles avrei trovato assistenza per i cavalli chiamando ad un numero di telefono. Le prime 3 volte che ho chiamato non rispondeva nessuno. Finalmente al quarto tentativo risponde Pancho, che sapeva che l’avrei chiamato e mi aspettava a braccia aperte. Pancho fa parte dell’associazione dei gauchos, e come comitato di benvenuto era incluso l’obbligatorio asado serale e ben 3 interviste ai media locali (radio, quotidiano e televisione). I cavalli avevano bisogno di riposarsi un paio di giorni, adesso manca poco all’arrivo ma i piú di mille chilometri che hanno fatto fino ad ora si vedono sulla pelle dei miei compagni di avventure, e loro sicuramente li sentono. Quindi ogni occasione è buona per riprendersi e caricarsi di nuove energie prima di riprendere il viaggio. Dopo due giorni di riposo peró mi accorsi che Pegasus aveva una ferita sul dorso, il posto peggiore per un cavallo. La ferita non era grande, e neppure preoccupante anche se è evidentemente infiammata. Abbastanza seria perché non si possa mettere la sella. Il che complica non di poco la prosecuzione del viaggio.
Comunque sia dovevamo ripartire. Per la prima volta in oltre un mese scelsi di cavalcare Tobi per vedere se era sufficiente per curare la ferita di Pegasus usare una crema antibiotica e farlo lavorare poco. Dopo una quindicina di chiloemtri era ora di vedere l’effetto, ma la ferita era peggiorata. Per fortuna mancava poco al posto dove ero atteso per la notte, ma come se non bastasse un vicino (José) mi era venuto incontro aiutandomi ad alleggerire i cavalli portandosi dietro il carico. Una volta a destinazione il buon José mi aveva procurato avena e fieno per i cavalli, oltre a mettermi a disposizione un recinto con abbondante erba. José mi confessó che il viaggio che sto facendo io per lui è un sogno che si porta dietro da anni, per cui ai suoi occhi sono quasi un eroe. La sera i miei osti di turno, i fratelli Aldo e Sergio, avevano organizzato un asado con abbondante carne e vino. Anche questa volta non era necessario montare la tenda, visto che un’abitazione di uno degli addetti (il guardiano del fine settimana) era a mia completa disposizione. Il giorno dopo scelsi di ripartire senza portarmi dietro il carico, che sarei tornato a prendere la sera con un taxi una volta giunto a Indio Rico. Quello che non avevo previsto era che lo stato delle strade non è dei migliori quando si viaggia a cavallo: pietre sia sul fondo stradale che nella banchina. Inoltre il caldo era tornato a farsi sentire, e non si incontrava ombra. Non i primi 20 km, fino alla centrale del gas dove era vietato l’accesso ai non addetti ai lavori, ma dove Ruben ha avuto pietá di me vedendomi nel monitor dalla sala controllo. Ancora una volta la fortuna mi ha sorriso, provvedendomi una visita guidata all’impianto di compressione del gas, un ambiente pulitissimo con luci e schermi per me incomprensibili. Molto interessante. I cavalli naturalmente non potevano entrare, ma a loro il sole non fa nulla quando c’è l’erba ”grassa” e verde come nel giardino esterno alla centrale. Dopo un paio d’ore di riposo gli ultimi 14 km fino alpiccolo paese di Indio Rico sembravano come un nuovo esodo. Le temperature massime si registrano sempre dopo le 5 del pomeriggio, e cavalcare molte ore su Tobi 2 giorni di seguito è un calvario per la schiena. Non solo, il buon vecchio tobi non è assolutamente in forma come Pegasus, per cui si stanca facilmente e ha bisogno di essere motivato in continuazione. Non avendo frusta (che non ne ho bisogno quando cavalco con Pegasus) devo fare un grande lavoro di redini, il che a sua volta è molto duro per la schiena. Alla fine peró siamo arrivati all’estsancia di proprietá di un siciliano. A venirmi incontro (a cavallo) era Alberto con uno dei suoi figli, e all’arrivo un buon bagno ai cavalli e per me il mate di rito. Per curare la ferita di Pegasus adesso ci pensa Alberto, l’unica cosa che devo procurare io è del sapone bianco, di quelli che si usavano una volta per lavare praticamente tutto. Funziona? Eccome se funziona!
Da Santa Rosa a Riglos 12-20 gennaio 2009
Dopo alcuni giorni di piacevole riposo a Santa Rosa era ora di riprendere il viaggio. Il caldo asfissiante si era calmato, almeno un po’, ma la partenza ritardata per motivi di trasporto da Santa Rosa alla estancia dove stavano i cavalli ha significato un viaggio parzialmente al buio. Infatti il destino anche questa volta era predefinito, presso una famiglia poverissima che vive della mungitura di vacche proprie su un terreno affittatto. Non solo ero atteso, ma la cena offertami é stata tra le migliori gustate durante il viaggio. Avrei voluto offrire una bottiglia di vino, sotto forma di un biglietto da 20 pesos (4 euro), ma non c’é stato verso. Il giorno dopo il caldo si è rifatto vedere con la sua faccia peggiore. Per fortuna avevo previsto di andare solo di mattina. Nel pomeriggio la temperatura registrata non lontano da dove mi trovavo ha superato tutti i record precedenti: 57,7 gradi. La fortuna ha voluto che una sera a Santa Rosa, trovandomi in un ristorante guardando la cartina, il proprietario del ristorante mi ha chiesto se stessi viaggiando. Al che raccontandogli del mio viaggio mi ha praticamente gettato nelle braccia di Vladi, il proprietario della Estancia La Cecilia. Al mio arrivo (strategico, all’ora di pranzo) Vladi non c’era, in compenso ero atteso dal figlio Alexis e due lavoratori. Subito si sono presi cura dei cavalli, mentre io mi facevo una doccia rinfrescante. Dopo pranzo l’obbligata siesta, ma che caldo ovunque! La sera ho avuto la fortuna di conoscere anche la figlia di Vladi, una bella donna giovane (sposata), che mi ha salvato la serata portandomi da mangiare ed una birra gigante. Purtroppo aveva ospiti nella casa del padrone, quindi sono stato lasciato solo, ma in circostanze quasi papali. Avevo tutto a disposizione. La mattina dopo finalmente ho conosciuto Vladi, un uomo di origini ceche, il cui padre ha creato un mini impero e assicurato economicamente la famiglia. La fascinazione di Vladi per i cavalli è proverbiale, per questo il proprietario del ristorante a Santa Rosa mi aveva incitato a passare da lui. Ovviamente chiamandolo prima.
Partendo da La Cecilia il caldo incredibile del giorno prima era diventato fresco. La temperatura ora stava intorno ai 25 gradi, ma il forte vento quasi faceva sentire freddo. Le molte nuvole purtroppo non hanno portato pioggia, ma le condizioni relativamente buone per la cavalcata invitavano a fare un tragitto lungo. E cosí fu, anche se involontario. Vladi mi aveva invitato a visitare un’altra estancia lungo il cammino, ma qui l’incaricato non voleva saperne di farmi sostare per la notte, e non voleva che chiamassi il proprietario (amico di Vladi). Male, ma allora si va avanti, fino alla prossima estancia. Purtroppo o ho preso il cammino sbagliato, o mi sono trovato in una valle sfortunata, ho cavalcato per ore ed ore, senza trovare nessun tipo di assistenza. Acqua per i cavalli si, ma posto dove montare la tenda no. Alla fine, per via del buio, mi sono fermato legando i cavalli al lato della strada. Non è la prima volta, ma adesso non c’é praticamente nulla da mangiare per i cavalli, per via della siccitá estrema. La notte il freddo è diventato un problema, e non riuscivo a dormire. Per cui mi sono alzato per mettermi vestiti piú caldi, al che ho notato che Tobi stava dormendo sdraiato accanto alla tenda. Che caro quel cavallo, è troppo abituato a stare con le persone…
Il mattino dopo avevo una prioritá assoluta, che i cavalli mangiassero e bevessero. Per fortuna dopo 2 ore di cavalcata (finalmente) si vedeva una estancia in cima ad una collina a un paio di chilometri dalla strada. Una volta entrato ho incontrato una bambina di 10-12 anni alla guida di una 4x4 con il padre accanto, come un maestro di scuola guida. Per miracolo è riuscita a fermare il bolide, ed il padre, una volta chiestomi cosa desideravo, mi ha mandato alla casa dei lavoratori dove un ragazzo mi avrebbe aiutato. Infatti, essendo domenica, l’unica persona presente era un giovanotto di 19 anni, ma che fin da subito si è dimostrato essere un grande ammiratore dell’esperienza che sto facendo. Non solo mi ha aiutato in tutto quello che necessitavo, ma avrebbe voluto che mi fermassi per almeno un paio di giorni, sicuramente un sintomo di solitudine e voglia di andare via.
Ripreso il cammino prima che il padrone si svegliasse dalla siesta (non volevo creare problemi al giovanotto, non si sa mai) la strada da fare era ancora lunga. Come obbiettivo per il pernottamento avevo una scuola rurale, che anche se in questo periodo estivo le scuole sono chiuse, con un po’ di fortuna avrei trovato qualcuno che vive lí tutto l’anno. Inoltre accanto alla scuola c’é un distaccamento di polizia, e qui la polizia aiuta sempre i viandanti. Una fortuna insperata ha voluto che a pochi chilometri dalla destinazione ho incrociato una 4x4 che svoltava a sinistra in una strada sterrata proprio mentre la incrociavo. Questa era la seconda auto che avevo incontrato dal giorno prima! Al che naturalmente ho chiesto informazioni riguardo a quanto mi mancava per arrivare alla scuola. Il conducente dell’auto, Hugo, mi ha guardato come se venissi da un altro mondo chiedendomi ”non sei di qua, vero?”, e aggiungendo che la scuola era chiusa e che non c’era nessuno, neanche alla polizia. Insomma cosa andavo a farci lí? La mia risposta sincera conteneva anche una mezza parolaccia, o meglio, un’imprecazione per la delusione, ancora una volta, dovermi fermare in un posto dove i cavalli non avrebbero potuto mangiare abbastanza di notte per riprendersi dagli sforzi del giorno. Al che Hugo guardandomi un po’ con pietá, un po’ con pazienza, mi invitava alla sua estancia ”La Victoria” non lontano. Non solo, potevo fermarmi tutto il tempo che volevo, mangiare e vivere con i lavoratori dell’estancia e lasciare i cavalli liberi nei campi adiacenti cosí da rimettersi un po’. Tal invito é difficile rifiutare, e anche se l’abitazione messami a disposizione era relativamente umile, sempre meglio della tenda. Ho fatto subito amicizia con gli uomini addetti ai lavori dell’estancia, aiutato dal fatto che mi aveva invitato il padrone. C’è peró da dire che Hugo non é come gli altri padroni che ho incontrato finora, molto distaccati dal personale. Anzi, e si vede dal modo in cui gli uomini parlano del padrone, con rispetto e ammirazione, e senza timore. In effetti Hugo è un po’ particolare come persona, ed il suo cuore d’oro non si manifesta solo nell’invitare sprovveduti cavalieri erranti al suo possedimento (di quasi 9000 ettari). Hugo è a capo di una fondazione a scopi umanitari, e il lavoro dell’estancia finanzia il lavoro della fondazione, che quindi é libera da legami economici, politici e/o da terzi. La fondazione (Spinetto) si fa carico di gestire un collegio adiacente alla scuola dove avevo intenzione di fermarmi, e lavora a favore di bambini di famiglie poco abbienti che hanno bisogno di attenzioni particolari (tipicamente per motivi sociali). Il lavoro consiste nell’accudire i bambini in un ambiente protetto lontano dalla famiglia, e seguire quindi la scuola. Credo che per fare il lavoro che fa Hugo bisogna essere una persona di un certo tipo.
La brutta notizia ora è che dopo un giorno di meritato riposo avrei voluto proseguire il viaggio. Purtroppo la situazione metereologica è disperata. La provincia della Pampa è dichiarata zona di catastrofe naturale per via della siccitá. I raccolti di soja sono persi all’80%, del grano al 50% e girasole 30%. E le previsioni del tempo sono implacabili. Sole e temperatura superiori ai 40 gradi di giorno e 25 di notte. L’umiditá è bassissima, al 35% (per fortuna, se no si morirebbe di afa). Per me tutto questo significa che mi è impossibile proseguire il viaggio. Il motivo principale è che rischio di non trovare da mangiare per i cavalli. Giá ora stanno mangiando pochissimo, non c’é niente di verde nei campi. Non posso occupare le ore disponibili a mangiare in attivitá che richiedono molta energia. Quindi finché non si risolve la situazione ”erba” non posso proseguire. Fortunatamente i cavalli sono benvenuti a La Victoria, cosí come anch’io avrei potuto passare tutto il tempo che volevo lí. Ma non volendo aprofittare troppo dell’ospitalitá mi sono trasferito al paese piú vicino, Riglos a 35 chilometri dall’estancia, aspettando che il tempo migliori (o peggiori, visto che aspetto la piggia e temperature piú basse). A Riglos c’é un locutorio con 1 computer con accesso ad internet, non molto altro da fare, ma il tempo passa. E le previsioni? I prossimi 4 giorni sempre uguale, sole e temperature oltre i 40 gradi. Il raccolto ormai è perso, se non tutto, quasi. Molti animali sono stati venduti e trasportati in altre provincie argentine, non c’è nulla da mangiare qua, almeno per gli erbivori. Vedremo come va, questo fermo imprevisto non ci voleva, ma è peggio per l’economia di una regione che é al 100% basata sui prodotti agricoli.
Da Victorica a Santa Rosa 4-11 gennaio 2009
L'idea, la preparazione e il viaggio fino a Victorica (settembre-dicembre 2008)
L’idea
Durante il mio viaggio in moto per l’Argentina di un anno fa (3 mesi e oltre 11.500 chilometri) una delle attivitá piú importanti, a cui mi faceva particolarmente piacere dedicarmi, erano le cavalcate. Non passavano 2-3 giorni senza che mi venisse astinenza da cavallo. E cavalcare in Argentina è tutt’altra cosa che in Danimarca, imparagonabile. Le escursioni a cavallo sono difficilmente descrivibili a parole, anche perché il cavallo argentino (criollo) é molto particolare. Robusto, agile e molto facile da gestire. Comunque sia, verso la fine del viaggio in moto mi è capitato di incontrare un motociclista tedesco, Geri di Aachen. Era la prima moto che vedevo dopo 3 settimane di Patagonia (che vento in Patagonia!), e abbiamo subito fatto amicizia. Quando ho raccontato a Geri delle mie gesta a cavallo mi ha chiesto per quale motivo avevo comprato una moto se quello che mi interessava di piú era cavalcare. Avrei fatto prima a comprare un cavallo per girare l’Argentina. Questa fu la pulce nell’orecchio che mi perseguitó per mesi e mesi dopo il mio rientro in Danimarca. Verso la fine dell’estate scorsa quindi mi mancava solo il pretesto per partire, mentalmente ero piú a cavallo in Argentina che in Danimarca. Parlando con la mia vicina, un giorno, mi sono convinto che non c’era motivo per aspettare oltre. La casa era giá in vendita, mi mancava di sbolognare la moto, la macchina e di parcheggiare la mia cavallina islandese da qualche parte e potevo partire. Dopo alcune settimane di preparazione, complicate da trasloco e atti di vendita vari, il 13 novembre ho preso l’aereo e il 14 ero a Buenos Aires, quasi un anno dopo la mia ultima visita.
In realtá Buenos Aires non è una brutta cittá, anzi. Ma a me non piace molto il caos ed i rumori, le caratteristiche principali di questa metropoli con 11 milioni di abitanti, che fanno sembrare Roma e Milano due paesotti addormentati della pianura padana. O quasi. A Buenos Aires ho rincontrato il mio caro amico Federico, che anche questa volta mi è stato di preziosissimo aiuto pratico e sostegno morale. Ci sarebbe da scrivere un romanzo su Federico, mi limito a sottolineare la sua grande disinteressata disponibilitá e la sua tranquilla personalitá. Insomma una persona in tutti i modi piacevolissima, e di cui ci si puó fidare ciecamente. Non è una qualitá scontata in Argentina. Dopo 3 giorni nella capitale e senza potere estendere il mio visto turistico di 3 mesi (vedremo che succede a febbraio...) decisi di prendere l’autobus per la mia destinazione di partenza a cavallo, la cittá di Malargüe. Il viaggio in autobus dura 16 ore, ma non è spiacevole. Ci sono 3 categorie di sedili, ed io spendaccione ho comprato la piú costosa. È come viaggiare in aereo, sedile compreso. Viene servita la cena e la colazione, niente di eccezionale, ma considerando la distanza ed il prezzo totale (1.300 chilometri, 45 euro) non ci si puó certo lamentare.
Malargüe, la preparazione del viaggio a cavallo
Il comune di Malargüe ha circa 20.000 abitanti, l’estensione geografica è di oltre 42.000 km2, un migliaio piú della Danimarca intera. Nella cittá stessa vivono circa 18.000 persone, il che rende la zona rurale praticamente deserta. Le prime settimane di soggiorno le ho dedicate alla ricerca intensa (intensissima) dei 2 cavalli necessari per il viaggio. Le caratteristiche dei cavalli sono fondamentali, per un viaggio di oltre 1000 chilometri e circa 2 mesi non posso usare animali qualsiasi. Non è stato facile trovarli, e alla fine ho dovuto accettare di partire con 2 cavalli di caratteristiche fisiche molto diverse tra loro. La lunghezza delle gambe in questo senso non è indifferente, meglio se i cavalli hanno lo stesso passo. Ma la scelta purtroppo si è vista piú scarsa del previsto, quindi ho comprato due cavalli di cui uno, magrissimo, non era assolutamente pronto per il viaggio, come si sará visto piú avanti. In qualunque caso due buoni cavalli, uno di razza criolla, l’atro di padre cileno e madre criolla (si vede subito dalla testa che ha sangue cileno, ma anche perché è molto piú alto). Entrambi cavalli molto facili da maneggiare, e forti, abituati ai ferri e a lavorare molte ore al giorno. Ed entrambi con nomi impossibili, ereditati dai rispettivi proprietari precedenti all’attuale. Quindi la prima cosa che ho fatto è stato cambiare il nome a tutti e due. Il primo l’ho chiamato Orione, ispirato da, tra l’altro, la constellazione che da queste latitudini è visbile al pieno in questo periodo dell’anno. E l’altro, il “cileno”, a seguire l’ho nominato Pegaso, un’altra constellazione e personaggio mitologico greco. Per par condicio equina andina.
L’idea è di utilizzare un cavallo per cavalcare e l’altro per trasportare il carico, tra cui il mangiare, la tenda e diversi attrezzi da usare per ferrare i cavalli per strada. A seconda delle condizioni fisiche dei rispettivi cavalli inoltre si possono cambiare a metá giornata o da un giorno all’altro. L’ultima settimana a Malargüe l’ho passata ad allenare i cavalli ed ad ingrassarli il piú possibile. Quest’ultimo esercizio si è rivelato piú complicato del previsto. Non perché i cavalli non mangiassero di gusto, ma perché il giorno prima di partire non si riusciva a prendere un cavallo, e l’altro neanche si vedeva. Per farla breve Pegaso si è rivelato un asso nell’evitare di farsi catturare quando è libero nella natura (mi avevano avvertito di questo, ma non ci avevo dato troppo peso). In forte contrasto a quando si trova in un recinto, che se ci si avvicina aspetta immobile. Il giorno dopo, con l’aiuto di esperti gaucho della zona, siamo riusciti nel giro di 3 ore a costringere Pegaso in un recinto. In queste 3 ore ho imparato un sacco di parolacce in castigliano, tutte rivolte al pover Pegaso che non voleva farsi catturare. Orione invece era sempre sparito e non si vedeva da nessuna parte. Il recinto dove erano stati liberati i cavalli (insieme ad una mandria di una dozzina di altri cavalli) racchiude un’area di oltre 1000 ettari, poca roba in Argentina. Quindi era stupefacente che Orione fosse “desaparecido”, scomparso nel nulla. Fisicamente impossibile, a meno che un ufo... no. L’unica cosa da fare era rivlgersi alla polizia per denunciarne la scomparsa e vedere gli sviluppi del caso. Una volta posta la denuncia il poliziotto in carica ha cominciato a chiedere in giro, e caso strano, un cavallo con le caratteristiche di Orione era stato visto in un recinto non lontano. Il Basettoni di turno, rivolgendosi al proprietario del recinto (un tipo della banda bassotti locale) si è rifiutato di essere a conoscienza del fatto. Al che volevamo vedere il recinto, ma mezz’ora dopo, come resuscitato, Orione era di nuovo nel recinto originario. Intatto, sempre magro ma sano.
Finalmente si parte!
Il giorno prima della partenza mi era stato consigliato di rivolgermi alla radio municipale, dove il progrmma quotidiano dei comunicati è ascoltato da tutti, e sottolineo tutti, che non vivono in cittá. Ormai in cittá ero famoso per il viaggio, ma nella zona rurale la gente non ha nessun mezzo di comunicazione a parte la radio a onde corte, alimentata da un batteria a carica solare. Non c’è ne luce ne telefono, e l’acqua è di pozzo. Il programma dei comunicati dura un’ora e mezza, dove vengono appunto letti comunicati da utenti ad altri utenti, per esempio “appena puoi vai da tua sorella”. Durante il programma sono stato intervistato da Ricardo, la persona piú famosa della zona, che alla fine dell’intervista ha incitato tutti ad offrirmi assistenza durante il viaggio, almeno fino al confine di provincia, 250 chilometri dalla partenza. Questa intervista si è rivelata impagabile per le esperienze a venire.
Il giorno della partenza era meteorologicamente l’eccezione dell’anno. Dopo settimane di secco e caldo insopportabile, con punte di 35 gradi nel pomeriggio, una perturbazione con pressione atmosferica bassissima ha portato pioggia torrenziale e vento forte nella zona. Non c’era nulla da fare, volevo partire. Ho atteso che il peggio passasse ma nel pomeriggio non volevo piú aspettare e sono partito. Dopo 2 chilometri dal ponte sul fiume e che delimita la zona cittadina è passata una moto con targa tedesca (!). La moto si è fermata ed è tornata indietro approcciando i cavalli in modo che non si fa mai, mai! Il risultato è stato che Orione, su cui stavo cavalcando, si è fatto prendere dal panico nel momento in cui la moto era a pochi metri di distanza. Colpevole del fatto era anche il vento che rendeva il rumore della moto particolarmente indefinibile. In queste situazioni normalmente riesco a trattenere il cavallo, ma avendo Pegaso (che nel frattempo era rimasto calmissimo) legato alla sella, Orione non poteva scappare da nessuna parte. Alla fine mi sono trovato con Orione con le zampe anteriori sul collo di Pegaso, e per evitare che si facessero male entrambi ho scelto di lasciarmi cadere cosí che Orione non fosse disturbato dal mio peso, dalla sella che tirava e dalla situazione a dir poco innaturale in cui si trovavano i due cavalli. La scelta si è rivelata poco felice, perché Orione, grazie alla moto che continuava ad avvicinarsi, non piú con i miei comandi alla briglia, alla fine si è dato alla fuga tirandosi dietro il povero Pegaso con il carico. Ovviamente la direzione era verso il paese. Con i due cavalli in fuga al galoppo ed il carico che alla fine è caduto per la strada, il motociclista finalmente si è fermato ed ha spento il motore. Al che mi ha chiesto se questa fosse la strada per Chos Malal. Io incredulo lo guardavo, mi giravo per vedere i cavalli in fuga ed il mio carico sparso per terra, con il materassino che volava nel vento forte, tornavo a guardare il motociclista chiedendomi se per caso non fosse una prova o un brutto scherzo, al meglio un incubo. C’è da sottolienare che da San Rafael 200 km a nord fino a Chos Malal 300 km a sud, c’è solo una strada, se non si vuole passare per i sentieri che comunque non portano da nessuna parte. Per primo avevo voglia di strozzare il tedesco, ma mi è invece venuto piú spontaneo rispondergli in modo calmo, che non si approcciano i cavalli in quel modo. Si aspetta che i cavalli vengano da te. E sí, non essendoci altre strade questa porta a Chos Malal. Al che tornavo a guardare verso i cavalli, ora fuori dalla vista, mentre il motociclista ripartiva per la sua via.
La caduta da cavallo non mi ha riportato danni fisici, a parte qualche livido i giorni a venire. Ma tornare a piedi verso il paese, senza sapere che fine avevano fatto le bestie era piú frustrante che doloroso. Comunque non avendo alternative mi misi in cammino, raccogliendo il possibile. Dopo alcune centinaia di metri il conducente di un’auto che veniva dal paese mi ha accostato offrendomi un passaggio. Si è rivelato un uomo, che venendo in direzione opposta aveva visto tutto il fatto e si era fermato per seguire i cavalli. Durante il tragitto aveva inoltre raccolto la corda che assicurava il carico e che si era sciolta nella fuga. Per fortuna un camion aveva visto i cavalli in fuga avvicinarsi al ponte e si era quindi messo di traverso per bloccare il passaggio. Al che i cavalli (o meglio Orione che tirava Pegaso) erano andati verso il fiume, fortunatamente ingrossato dalla pioggia, e quindi si erano fermati all’argine. L’uomo che mi aveva raccolto per la strada aveva quindi approciato i cavalli senza problema e legati ad un palo. Una volta riunificatomi con i cavalli il consiglio migliore sarebbe stato di rimandare la partenza al giorno dopo, almeno fino a quando non si fosse calmato il vento che continuava ad eccitare Orione. Invece no, decisi di proseguire, sperando di non incontrare altri motociclisti, almeno per i prossimi obbligati 10 chilometri di strada prima di immettermi nel sentiero che porta alla riserva naturale poco frequentata da veicoli motorizzati. Il ritardo di 8 ore rispetto alla tabella di marcia ha significato un pernottamento fuori programma lontano da tutto. Purtroppo tra le cose che avevo perso c’era l’acqua, per cui ne io ne i cavalli avevamo da bere le prossime molte ore. Per me anche a letto senza cena, mentre i cavalli potevano pascolare di notte la rara erba raggiungibile quando si è legati con 10 metri di corda. E senza materassino la sella che si usa in Argentina è un ottimo materasso.
Al risveglio il giorno dopo il sole era nuovamente implacabile, ma ormai non c’era altra scelta che proseguire. Orione era ancora scosso, quindi meglio cavalcare su di lui che affidargli il carico rimasto. Per fortuna dopo 10 chiometri di cammino ho incontrato una guardia forestale, che anche se non poteva offrirmi acqua era in grado di aiutarmi trasportandomi il carico nel suo 4x4 fino alla casa dei guardiani del parco naturale 25 chilometri piú in lá. Un grande aiuto, anche se le molte ore senz’acqua sotto il sole cocente mi ha fatto cambiare il concetto di sete. Una volta raggiunta la casa sono stato ospitato come se fossi un re, e da quel momento non ho piú avuto dubbi: se ho sopravissuto i primi 2 giorni non ci sarebbe stato nulla che mi avrebbe potuto fermare. Una buona cena ed una tranquilla notte di riposo mi hanno caricato con nuove energie, e trovare uno scorpione velenoso (non letale) nella mia tenda al mattino non mi ha disturbato, anzi, mi ha confermato che se i problemi vengono tutti all’inizio, d’ora in poi sarebbe stata una passeggiata domenicale.
Infatti il giorno dopo, sempre cavalcando su Orione ancora “su di giri”, dopo solo 2 ore di cammino ho incontrato un puesto, una casa rurale abitata da gente che vive di pastorizia (capre, le uniche bestie che possono vivere di quello che offre la terra della precordigliera andina). La famiglia del puesto mi stava letteralmente aspettando, essendo un luogo di passaggio obbligato ed avendomi ascoltato alla radio. L’accoglienza offertami da questa famiglia povera non è paragonabile a nulla che ho provato in vita mia. Per ricambiare, non avendo altro a disposizione, ho regalato loro 4 ferri da cavallo. Se posso un giorno torno in questo posto con una dimostrazione di gratitudine piú significativa. Per molti aspetti l’accoglienza mostratami va molto oltre il pranzo e l’acqua per i cavalli. Per me è stata un’esperienza di sostegno al mio progetto, il non sentirmi solo ma appoggiato nel bisogno.
Nel pomeriggio il caldo insopportablie mi ha colto di sprovvista. Visto che andava tutto cosí bene ho pensato di proseguire invece di fermarmi al primo posto incontrato. Avevo anche voglia di camminare, per cui avrei comunque risparmiato i cavalli. Alla fine mi sono fatto 20 chilometri sotto un sole cocente e le ultime 2 ore senz’acqua. Mi sarei dovuto fermare prima. In compenso nel posto dove mi sono fermato mi hanno nuovamente offerto tutta l’assistenza di cui avevo bisogno. Non ricordo quand’è stata l’ultima volta che ho sentito tanta stanchezza... Per risparmiare i cavalli nella lunga tappa del giorno successivo ho chiesto se potevano portarmi il carico con un auto alla prossima destinazione, 30 chilometri di strada piú in la. Cosí avrei potuto cavalcare su Pegasus al mattino e cambiare con Orione al pomeriggio. Purtroppo dopo una pausa di 4 ore nel primo pomeriggio, dove la temperatura sicuramente superava i 35 gradi e l’ombra praticamente inesistente, Orione era ancora ingovernabile. E nuovamente provava a resistere agli ordini, ma questa volta costi quello che costi non mi sarei lasciato scalciare per nulla al mondo. È finita che Orione è caduto con me sotto di lui. Nel tentativo di rialzarsi Orione mi ha dato una capocciata degna di un ariete, ma cercando di ripetere l’azione mi sono messo con la testa in posizione, dopodiché Orione era docile come un agnello. Devo avere un cranio piú duro del suo, se no non si spiega. Non è stato facile “scavarmi” fuori dal peso di Orione, ma alla fine in qualche modo ci sono riuscito. La mia preoccupazione piú grande era che Orione si fosse fatto male nel cadere, ma fortunatamente non c’era nulla da vedere. Per sicurezza decisi di riprendere la cavalcata nuovamente con Pegasus, e con Orione al tiro. Purtroppo durante la battaglia con Orione le mie 3 bottiglie di acqua, che avevo messo nella borsa attaccata alla sella, si ruppero lasciandomi letteralmente a secco per i prossimi 15 chilometri. E di nuovo ho ridefinito il mio concetto di “sete”.
Mina Ethel
A seguire... |